Distese di pesci morti a galla in canali dove non c’è più ossigeno.
In termini tecnici si chiama anossia.
Tra le sue conseguenze anche il colore rosso intenso del canale Zaniolo.
Canali dalle acque morte, e nei campi intorno migliaia di fenicotteri dispersi, spaesati, in cerca dei nidi che la piena di melma ha spazzato via.
Melma piena di liquami zootecnici e rifiuti di ogni genere, che quando arriva in mare forma vaste chiazze color bitume.
Eppure in riviera l’Adriatico è limpido, balneabile, godibile. Deve esserlo, o salta la stagione. Per rassicurare i bagnanti si farebbe di tutto.
Il 2 giugno l’assessore regionale al turismo Andrea Corsini ha annunciato che avrebbe bevuto un bicchiere di acqua di mare. Non sappiamo se poi l’abbia fatto. Lo squaraus è la cosa più simpatica che possa capitare, anche con l’Adriatico “pulito”.
E che l’acqua di mare non si beve te l’insegna la mamma quando hai due anni.
Nel mentre, prosegue – autoreferenziale, demenziale, foriero di ulteriore sventura – il dibattito su chi fare commissario alla ricostruzione con la Meloni e Salvini che parlano di “maltempo” da buoni negazionisti e si interrogano si chi della propria “ ciurma” dovranno mettere in quella “ casella” a gestire i miliardi dei lavori che verranno …( una situazione ridicola se non fosse una tragedia ..)
Nel frattempo però lo spettacolo di sé che danno gli amministratori emiliano-romagnoli fa pensare a un’altra dimensione del multiverso.
Un mondo fatato in cui l’Emilia-Romagna è davvero quella che loro dipingono:
una specie di Bengodi governato da illuminati e con la popolazione più intelligente d’Italia.
Nella nostra dimensione, invece, il PD regionale – e dunque nazionale – sta colando a picco nella melma, trascinato da una zavorra di miti e clichés,
L’arrocco non servirà.
Si diffonde sempre più la consapevolezza dei danni che ha fatto la loro cementificazione, la loro guerra agli alberi e al suolo.
Si sentono sempre più tecnici, esperti, addetti ai lavori dire quel che appare ovvio ma che gli amministratori negano:
si è costruito ovunque.
Ecco FaustoPardolesi, funzionario dell’Autorità regionale di Bacino dei fiumi romagnoli:
«Era meglio tenere il terreno sgombro per l’espansione del fiume. Evidentemente non si è costruito in modo prudente, dal Dopoguerra in poi facendo partire urbanizzazioni in zone depresse orograficamente, oppure troppo vicino agli argini […] Il fango non è usuale di tutte le piene, in questo caso nelle vallate il fiume si è ripreso spazi che non usava da almeno un secolo, erodendo le sponde per centinaia di metri, il fango proviene da lì […] Bisogna lasciare spazio al fiume e piuttosto che costruire protezioni ad abitazioni e altre costruzioni troppo vicine al fiume, per poi doverle riparare a ogni piena, bisognerebbe delocalizzare i fabbricati, spostarli in zone più sicure».
Nicola Armaroli, scienziato del CNR e studioso di questioni energetiche, è andato anche più in là, parlando di «una cementificazione che fa vomitare».
Riguardo al fango e all’erosione a cui accenna Pardolesi, è sempre pù chiaro che i fiumi in piena hanno distrutto e trascinato via gli argini dove questi erano stati disboscati.
Si vede in tutte le immagini delle rotte di Idice, Lamone, Savena, Senio, Sillaro ecc. Argini resi fragili, ridotti a puri cumuli di terra… per poi magari farci sopra «percorsi cicloturistici», cioè – diciamola come va detta – ulteriori colate d’asfalto in nome del «green».
Un green che arriva distruggendo ecosistemi e compromettendo l’assetto del territorio.
Emblematico il caso del Savena, i cui argini furono rasati a zero nel 2014.
In pochi giorni sparirono circa sessantamila alberi, anche in zone classificate SIC, Siti di Importanza Comunitaria. Furono distrutti trenta ettari di vegetazione ripariale.
Gabriele Minghetti, allora sindaco di Pianoro e presidente dell’Unione Montana Savena e Idice, ignorò ogni critica, come ignorò i pareri di WWF, Legambiente e Unione Bolognese Naturalisti.
Durante una serata informativa a Rastignano, l’esperto di ecologia fluviale Giuseppe Sansoni mise in guardia dalle possibili conseguenze di una simile devegetazione.
Peraltro, la situazione del Savena era già critica, come fa notare il naturalista Fausto Bonafede in una relazione sulle ultime alluvioni:
«Il Corso del Savena […] è zona ad alto rischio idraulico e idrogeologico. In tutta questa zona l’alveo è stato ristretto a dismisura con strade, costruzioni e manufatti di ogni tipo realizzati a pochi metri dall’alveo attivo o addirittura dentro l’alveo […] Le sezioni di deflusso sono diventate insufficienti per smaltire anche piene modeste, figuriamoci cosa può succedere in occasione di eventi meteorologici estremi come quelli del 17 e 18 maggio 2023. La situazione è destinata a peggiorare con i lavori del “Nodo di Rastignano” salutato da tutti come la soluzione di tutti i problemi.»
Se a decenni di malterritorio aggiungiamo i disboscamenti del 2014, e se a questi aggiungiamo quelli dell’autunno 2022 al Paleotto, finalizzati proprio a insediare il cantiere del Nodo di Rastignano – «opera che aspettavamo da più di trent’anni», dixit Lepore – il quadro è completo.
Così si è preparata l’esondazione e rotta del Savena del maggio 2023.
E a conti fatti, scrive ancora Bonafede, in val Savena
«è andata “bene” rispetto a quel che è accaduto nelle valli della Romagna, a meno di 60 km in linea d’aria […]
In val Savena la pioggia caduta il 17 e 18 maggio 2023 è stata minore, variando dai 147 mm di Loiano ai 166 mm di Madonna dei Fornelli;
in molte zone della Romagna è andata molto peggio:
si va dai 205 mm di Brisighella (RA) ai 254 mm di S. Cassiano sul Lamone.»
Se sulla val Savena si fosse rovesciata una quantità di pioggia analoga – cosa che comunque può accadere in futuro – le vie di San Lazzaro e di Rastignano somiglierebbero a quelle di Conselice.
Con buona pace di amministratori ed “esperti” che da settimane ci raccontano che gli argini vanno «puliti».
In Emilia-Romagna, più puliti di così si muore. Anzi, si muore già così.
3. La lotta al «Passante di Bologna» dopo le piogge
Il post-alluvione sta dando nuovo impulso alle lotte ambientali in regione, in particolare a quella contro l’Allargamento fino a diciotto corsie della tangenziale di Bologna e dell’Autostrada A14, nei tredici chilometri in cui scorrono affiancate, attraversando le periferie del capoluogo.
L’intento è realizzare il cosiddetto «Passante».
Che, sia chiaro, ancora non esiste.
Quando si dice «il Passante», ancora troppe persone non riescono a figurarsi di che si tratti.
Del resto, «Passante» è un nome che crea confusione, richiama qualcosa che passa e va, mentre questo, se lo fanno, rimane.
Fino a qualche anno fa era chiamato il «Passante di Mezzo», per distinguerlo dalle altre due opzioni sul tavolo: «Passante Nord», cioè un nuovo tratto autostradale nella parte più settentrionale della provincia, e «Passante Sud», per cui si ipotizzava un mega-traforo dei colli.
Dove, come cantava Guccini, Bologna tiene il culo.
Ora il Passante non è più «di mezzo» in quel senso, ma sarebbe sicuramente in mezzo.
In piena città, in mezzo ai maroni, in mezzo ai polmoni.
Va sempre ribadito di cosa si tratta:
dell’allargamento di tangenziale e A14, e va spiegato che questo progetto ne implica molti altri, decine di nuove colate d’asfalto che stanno per investire Bologna e i suoi dintorni.
Per preparare quelle colate si distruggono boschi urbani e stradali.
Ruspe e motoseghe hanno già abbattuto decine di migliaia di alberi.
Agli esempi fatti negli scorsi articoli aggiungiamo quanto accaduto lungo l’A14
Dove noi vediamo boschi, ecosistemi, vita, i politici e gli affaristi vedono solo “sporco”, “degrado” e legname da vendere alle centrali a biomasse.
..capite perché così risuccedera’ presto ?