L’idea che l’ambientalismo sia una disciplina “sentimentale” – smidollati che si commuovono per le sorti dell’alberello e dell’uccellino – era stupida anche prima;

 

oggi lo è dieci, cento volte di più.

 

 

La necessità di una visione olistica del pianeta (tutto si tiene, tutto è connesso, compresi l’alberello e l’uccellino) esce brutalmente rafforzata dalla pandemia.

 

 

Uomini di scienza ci avvertono che la deforestazione espone l’umanità a un rischio epidemico sempre più alto, perché “scoperchia” un serbatoio immenso di virus sconosciuti, il cui vettore sono specie animali in buona parte sconosciute anch’esse.

 

 

Non è dunque il sentimentalismo, è la pura ragione a suggerire il rispetto di ecosistemi che hanno molta più esperienza di noi, nel senso che precedono l’avvento di homo sapiens di milioni di anni.

 

 

Non ricordo chi lo ha scritto (Pollan? Foer?), ma “la natura è un esperimento scientifico che dura da quattro miliardi di anni”.

 

Un esperimento scientifico.

 

Non uno sfizio di anime belle.

 

Essendo animali molto più evoluti degli altri, possiamo (forse) cavalcare la tigre: ma conoscendola e rispettandola.

 

Altrimenti siamo fottuti.

 

Le ultime notizie dall’Amazzonia sono dunque devastanti.

 

Per almeno due ragioni:

 

la prima è che Jair Bolsonaro, che di foresta pluviale capisce quanto io capisco di fisica quantistica, e dunque di Brasile non capisce niente, è il presidente del Brasile.

 

La seconda è che è stato democraticamente eletto dai brasiliani.

 

 

Questo significa che la difesa della ragione e della scienza è una battaglia che parte quasi da zero.

 

La classica guerra di trincea, che va combattuta persona per persona, essere umano per essere umano.

 

 

 

  Michele Serra tratto da Repubblica del 12 maggio 2020

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