Visto che ormai nessuno si stupisce più quando 30 tornado fuori stagione devastano gli Stati Uniti o quando la più grande zona umida del mondo, il Pantanal, brucia per settimane, sta prendendo piede l’idea di mettere in campo una seconda linea di difesa dalla crisi climatica, oltre al rilancio delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica.
I tecnici le chiamano Nature Based Solutions.
Anzi, per complicarci la vita, di solito utilizzano la sigla, incomprensibile ai comuni mortali:
NBS.
A questo punto, prima che abbandoniate la lettura dell’articolo, traduco:
alberi.
Più chiaro, vero?
Certo gli alberi non rappresentano tutte le soluzioni di cui si parla, ma rendono l’idea di quello che bisogna fare:
utilizzare la logica degli ecosistemi per guarire i danni provocati da chi capisce solo la logica delle macchine.
Proprio per questo gli alberi non possono essere usati come macchine.
L’idea di piantarne un trilione (mille miliardi), recentemente rilanciata, ha una forte valenza emozionale e indica la direzione di marcia.
Ma se cominciassimo a piantarli come pali di una recinzione, prendendo la prima specie che capita senza preoccuparci del luogo che li ospita e di quello che serve loro per sopravvivere, faremmo un bel pasticcio.
E non è un’ipotesi astratta.
Dagli alberi strangolati dall’asfalto nelle nostre città a quelli piantati nel deserto ignorando le tecniche che le popolazioni locali usano da millenni per sfruttare l’umidità notturna, l’elenco degli errori è lunghissimo.
“Gli alberi vanno considerati come elementi di un paesaggio, utilizzati per le loro specifiche capacità di fornire ombra, intercettare inquinanti, smussare il calore, guardando alla storia dei luoghi e agli obiettivi che è necessario raggiungere”,
spiega Cristina Tullio, presidente dell’Aiapp, l’Associazione italiana di architettura del paesaggio che ha organizzato un incontro di due giorni su questi temi.
“E questo vale anche per i paesaggi urbani. Le piante hanno una funzione sempre più importante in un contesto in cui la pressione degli eventi estremi cresce.
Possono fornire uno schermo per temperare le ondate di calore e un filtro per l’inquinamento.
Ma è l’intero contesto che conta,
Le piazze, ad esempio, possono trasformarsi in spugne capaci di assorbire piogge molto intense”.
L’alternativa a questo adattamento climatico è pagare un prezzo molto pesante.
Bettina Menne, coordinatrice delle attività Oms Europa sullo sviluppo sostenibile e la salute, ha ricordato che l’ondata di calore che ha colpito l’Europa nel 2003 è stata responsabile della morte di 70 mila persone, quella che ha investito l’Europa dell’est nel 2010 ne ha uccise 50 mila.
Nell’arco di una generazione, nel 2050, la differenza tra ignorare il problema delle ondate di calore o adottare la metà delle misure possibili significherà, solo per i cittadini europei con più di 65 anni, sacrificare o risparmiare 160 mila vite ogni anno.
In questo contesto qual è dunque il valore delle soluzioni di rigenerazione urbana basate sulla natura?
“Noi abbiamo calcolato il valore del verde in termini di produzione di cibo, sequestro di carbonio, regolazione del clima e del ciclo idrico, risparmio energetico, riduzione del rumore, capacità di attrarre turismo, benefici psicologici.
Sommando queste voci, risulta che un metro quadrato di parco urbano vale da 13 a 18 euro all’anno, un metro quadrato di tetto verde dai 16 ai 28 euro l’anno, un metro quadrato di frutteto urbano da 11 a 20 euro l’anno”,
risponde l’economista della Bocconi Edoardo Croci
. “C’è però un problema: questi benefici non sono generalmente letti dai mercati.
Per questo occorre introdurre dei meccanismi in grado di renderli evidenti. Ad esempio il pagamento per i servizi che questi ecosistemi offrono.
Un pagamento che può avvenire in varie forme:
ad esempio un quadro normativo o il pagamento diretto da parte delle autorità pubbliche ai proprietari di queste soluzioni basate sulla natura”.
Antonio Cianciullo
By Huffington Post .