L’Ue ha messo la produzione di idrogeno fra le tappe necessarie per la decarbonizzazione con massicci investimenti, ed è partita la grande corsa ad accaparrarsi i fondi.


Vediamo di capire bene come funziona.  

L'idrogeno può essere usato come materia prima, combustibile, vettore o accumulatore di energia e ha molte possibili applicazioni nei settori dell'industria, dei trasporti, dell'energia elettrica e dell'edilizia.




Ancor più importante, però, è il fatto che quando viene utilizzato non emette CO2 e non causa quasi nessun inquinamento atmosferico.




Rappresenta quindi una soluzione per decarbonizzare i processi industriali e i comparti economici nei quali la riduzione delle emissioni di carbonio è tanto urgente quanto difficile.




Tutto ciò lo rende essenziale per sostenere l'impegno dell'Unione europea di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e gli sforzi globali di attuazione dell'accordo di Parigi, perseguendo al contempo l'obiettivo "inquinamento zero".

Eppure al momento l’idrogeno rappresenta solo una piccola percentuale del mix energetico mondiale e dell’Unione, ed è ancora in gran parte prodotto a partire da combustibili fossili1 – in particolare gas naturale o carbone – con processi che rilasciano 70-100 milioni di tonnellate di CO2 l’anno nell’UE.
Perché possa contribuire alla neutralità climatica deve prendere piede su scala ben più ampia e la produzione va completamente decarbonizzata.
Ora sappiamo che la rivoluzione verde e la transizione ecologica pensate dal governo Draghi valgono 59,33 miliardi di euro.
Di questi 23,78 miliardi saranno destinati all’incremento della filiera delle energie rinnovabili in agricoltura, alla promozione di impianti innovativi (anche offshore), al trasporto locale sostenibile, alla dotazione di accumulatori per stoccare l’energia in eccesso, e alla rete intelligente per gestire i flussi energetici.
Dentro c’è anche la partita «idrogeno» che assorbe 3,19 miliardi.
Nello specifico:
2 miliardi per la riconversione delle imprese energivore (acciaierie, cementifici, etc),
160 milioni per la ricerca,
500 per la produzione di idrogeno in aree industriali,
530 per la sperimentazione nel trasporto stradale e o ferroviario.
Poi ci sono altri 450 milioni a parte che andranno a finanziare lo sviluppo tecnologico nelle filiere di transizione verso l’idrogeno.


Le cose però non sono così semplici perché l’idrogeno non è disponibile in natura:

per ricavarlo va staccato dalle molecole cui è combinato, come nell’acqua e nel metano, e lo si fa con processi industriali che consumano tanta energia, quindi costano.

Poi va trasportato:

per renderlo liquido va raffreddato a -250°, a livello gassoso va sottoposto a pressioni che arrivano a 700 atmosfere e il suo confinamento in solidi porosi è ancora in via sperimentale.

Oggi nel mondo si producono 73,9 milioni di tonnellate di idrogeno per un valore di mercato di 150 miliardi di dollari. Ma non tutto l’idrogeno e’ prodotto in maniera realmente sostenibile .

L’idrogeno in verità  non ha un colore:

è un elemento trasparente e invisibile quando si trova allo stato gassoso.

Tuttavia in gergo si assegna un attributo cromatico a diverse tipologie di idrogeno a seconda del modo in cui viene effettuata la sua estrazione dalle molecole in cui è combinato e del suo impatto ambientale.

Questi colori sono grigio, blu, verde, viola.

Vediamone le principali caratteristiche.

Idrogeno grigio

L’idrogeno grigio viene prodotto a partire da fonti energetiche fossili, principalmente mediante il cosiddetto steam reforming (e’ un processo industriale per la produzione di syngas a partire da idrocarburi e vapor acqueo).

In questo caso l’idrogeno è ricavato dal gas naturale o dalla gassificazione del carbone e attraverso un processo di conversione termochimica che però produce anche CO2.

L’idrogeno grigio (come si può intuire, si associa a tale colore perché deriva da un processo inquinante) quello di peggiore qualità, che però al momento costituisce la maggiore quantità di idrogeno prodotto nel mondo (intorno al 95%).

Idrogeno blu

L’idrogeno blu si ottiene con un processo analogo a quello dell’idrogeno grigio, almeno nella prima fase:

è tratto da fonti fossili tramite pirolisi; anche qui si produce CO2, che però viene catturata e stoccata nel sottosuolo oppure trasformata come materia prima.

La qualifica “blu” lascia intendere che questo tipo di idrogeno sia più rispettoso del clima, grazie all’assenza di emissioni dannose per il clima.

Si parla di una de-carbonizzazione al 90%, ma come vedremo sotto si può fare di meglio.

Idrogeno verde

L’idrogeno verde è prodotto da un processo chiamato elettrolisi ad alta temperatura:

le molecole d’acqua (H20) ricevono energia (derivante da fonti rinnovabili come fotovoltaico o eolico) che spezza i legami ottenendo idrogeno e ossigeno.

Il metano serve come materiale di base, come nello steam reforming.

La differenza cruciale è che la pirolisi del metano non produce anidride carbonica come sottoprodotto oltre all’idrogeno, bensì carbonio solido.

Tra i tre tipi di idrogeno citati finora questo definito “verde” è il più pulito che perché completamente de-carbonizzato (in quanto per la sua produzione non viene immessa alcuna quantità CO2 in atmosfera anidride carbonica).

Ma dobbiamo citare ancora un’ultima variante.

Idrogeno viola

L’idrogeno viola è estratto dall’acqua usando la corrente prodotta da una centrale nucleare, cioè a zero emissione di CO2:

anche in questo caso l’idrogeno è al 100% de-carbonizzato.

Quindi  vi e’ chiaro che L’unico idrogeno a zero emissioni è quello «verde», perché la materia prima utilizzata è l’acqua e l’energia per produrlo è elettrica e può provenire da fonti rinnovabili.

Eppure oggi quello verde è solo il 4% della produzione dell’ idrogeno mondiale.   Le ragioni sono almeno tre:
1) non abbiamo energia rinnovabile sufficiente per farlo, per avere un positivo impatto ambientale dobbiamo aumentare di 80 volte la produzione mondiale;
2) il processo di produzione è molto energivoro e con la tecnologia di oggi non siamo in grado di farlo su scala industriale;
3) il costo, dai 4 ai 6 euro per un kg di idrogeno verde, contro l’1,5 di quello grigio e per quello blu, che ancora non esiste in commercio, si stimano 2 euro.
Il verde quindi ora è fuori mercato.

La Commissione europea, però, prevede che con l’aumento della produzione il costo degli elettrolizzatori, i macchinari per produrre idrogeno dall’acqua, si dimezzerà entro il 2030 e nel 2040 l’idrogeno verde dovrebbe diventare competitivo (2 € al kg), consentendo nell’arco di 10 anni di sostituire con idrogeno il combustibile fossile nell’industria pesante, e nel traporto come camion, navi, treni, e forse aerei.
Le tappe sono tre:
1) entro il 2024 l’installazione di 6 gigawatt di elettrolizzatori per produrre 1 milione di tonnellate di idrogeno verde;
2) entro il 2030 almeno 40 gigawatt di elettrolizzatori e 10 milioni di tonnellate;
3) entro il 2050 un quarto di energia rinnovabile generata servirà a produrre idrogeno verde da utilizzare su larga scala.
Numeri poco credibili:
secondo i calcoli del Cnr non andremo oltre le 700 mila tonnellate al 2024 e 4,5 milioni al 2030.
Ma per arrivarci ci sono tante cose da fare prima:
entro il 2030 aumentare al 32% la quota di energia da fonti rinnovabili negli usi finali,
tagliare i consumi di energia primaria del 32,5% e aumentare l’interconnessione di almeno il 15% dei sistemi elettrici dell’Ue.
Integrare il sistema energetico vuol dire gestirlo nell’insieme, ad esempio:
l’energia elettrica che alimenta le auto può arrivare dai pannelli solari sul tetto,
mentre le case possono essere riscaldate dal calore di scarto di una fabbrica nelle vicinanze che, a sua volta, si alimenta con l’idrogeno prodotto dall’energia eolica o solare in eccesso.
L’insieme di questi processi trascina anche il rilancio dell’economia:
5 milioni di posti di lavoro secondo McKinsey (di cui 540 mila in Italia – Forum Abrosetti) per un volume d’affari nel mondo, secondo Bank of America e Goldman&Sachs, di 11/12 mila miliardi di dollari nel 2050.
Insomma si può fare ,ma la strada è lunga e bisogna impegnarsi tanto .
RB




Fonti




Data Room del 2 maggio2022

Adriano Pistilli .


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