Milena Gabanelli
La disinformazione si sposta sul web
Nell’ultimo decennio con il boom dei social media la strategia si è trasferita in rete, dove i negazionisti sostengono che la scienza del clima sia «illegittima, politicizzata, inaffidabile e corrotta».
Una delle prime «prove» durante l’uragano Sandy del 2012 negli Stati Uniti: i negazionisti hanno postato foto false per accusare i climatologi di allarmismo, riuscendo così a polarizzare il dibattito su Twitter e a far passare l’idea che dietro l’emergenza ci fosse una cospirazione del governo per controllare il Paese. Il fenomeno esplode nel 2016 con l’elezione di Donald Trump che in 4 anni ha varato 176 atti e provvedimenti per ridurre le misure contro il riscaldamento climatico, tra cui il ritiro Usa dall’accordo di Parigi sul clima siglato nel 2015.
La tecnica di manipolazione
I negazionisti isolano pezzi di verità scientifica e li usano strumentalmente per rendere credibili le fake news.
Prendiamo uno dei loro cavalli di battaglia: «Il sole è il responsabile del riscaldamento climatico e noi non ci possiamo fare nulla».
In questa frase c’è una parte di verità:
come fonte di quasi tutta l’energia terrestre, il sole ha una forte influenza sul clima.
Tuttavia le ricerche scientifiche dimostrano non solo che negli ultimi 40 anni il sole ha subito una leggera tendenza al raffreddamento, ma anche che le temperature sono aumentate solo nella troposfera, ovvero la parte più calda e vicina alla superficie della Terra.
Nella parte più esterna, la stratosfera, si sono abbassate.
“Se il riscaldamento fosse davvero causato dal sole, dovremmo registrare un aumento sia della temperatura sia nella troposfera sia nella stratosfera, perché il calore proverrebbe dallo spazio esterno all’atmosfera“
I principali siti negazionisti
Uno studio dell’organizzazione InfluenceMap pubblicato nel 2019 afferma che negli anni successivi all’accordo di Parigi «le cinque maggiori aziende di gas e petrolio (ExxonMobil, Royal Dutch Shell, Chevron, British Petroleum e Total) hanno investito più di un miliardo di dollari per le campagne di disinformazione sul clima».
Da chi sono finanziati?
Tra i più attivi c’è l’Heartland Institute dell’Illinois, in prima linea nel negare le prove scientifiche dell’origine antropica del surriscaldamento terrestre, sostenendo che gli scienziati siano d’accordo sul fatto che si tratta di un fenomeno naturale.
Uno dei più recenti articoli pubblicati sul sito «Climaterealism» contesta i dati sulla siccità affermando che «i satelliti della NASA hanno dimostrato che dal 2003 c’è una diminuzione del 25% delle terre bruciate a livello globale».
Al contrario, lo studio «Climate change increases the risk of wildfires», pubblicato a gennaio del 2020 sulla rivista scientifica ScienceBrief Review, rivela come negli ultimi anni i cambiamenti climatici abbiano aumentato sia la frequenza sia la gravità degli incendi in tutto il mondo.
Il 25% dei tweet sul clima sono opera di bot
Nel 2020 una ricerca della Brown University ha rivelato come un quarto dei tweet sul clima nei giorni precedenti e successivi alla decisione di Trump di uscire dagli accordi di Parigi siano stati pubblicati da bot, programmi automatici in grado di svolgere precise attività o di interagire con gli umani.
Gli esperti hanno esaminato 6,5 milioni di tweet lanciati tra maggio e giugno 2017 e ordinati dai ricercatori secondo categorie tematiche con il software dell’Università dell’Indiana «Botometer». Lo studio ha appurato che in una giornata normale il 25% di tutti i tweet sulla crisi climatica proveniva da bot. Negli ultimi anni, sempre su Twitter, i negazionisti hanno adottato una nuova strategia: presentarsi come «realisti» contrapposti agli «allarmisti». Il sito New Republic ha rivelato che l’uso dei termini «realisti» e «allarmisti» fino al 2016 era piuttosto raro (circa 200 tweet all’anno), mentre tra gennaio 2016 e marzo 2020 è cresciuto del 900%.
Le fake news sui media italiani
Nel giugno 2019 diversi siti web italiani hanno pubblicato la «Petizione sul riscaldamento globale antropico», documento inviato ai presidenti della Repubblica, del Consiglio, della Camera dei Deputati e del Senato, in cui si contesta «l’allarmismo climatico» e si dice apertamente che non c’è nessuna urgenza né crisi irrimediabile.
La petizione, sottoscritta da 83 persone tra cui alcuni scienziati, ha avuto una grande eco.
Il blog scientifico climalteranti.it , che da anni fa le pulci ai negazionisti in rete, ha smontato le fake news presenti nel documento e mostrato come i firmatari, tranne pochissime eccezioni, non avevano alcuna competenza di scienza del clima.
È stata anche ricostruita la storia della petizione del 1997 che ne era il modello: in particolare sono emersi i legami tra il promotore del testo del 1997, il fisico Frederick Seitz, e le industrie del tabacco e del fossile. Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano e coordinatore di climalteranti.it, afferma che rispetto a dieci anni fa la situazione è nettamente migliorata:
«Oggi più del 99% degli scienziati riconosce il riscaldamento climatico di origine antropica. E in effetti sui siti scientifici e sulle testate più autorevoli le fake news non compaiono più, mentre sono diventate virali sul web.
E l’effetto è devastante perché instillano dubbi in una parte della popolazione, proprio nel momento in cui è indispensabile un cambio radicale dei comportamenti collettivi.
L’ultimo appiglio dei negazionisti, ormai privi di teorie alternative e sconfessati dai fatti, è quello di sostenere che ormai è troppo tardi per intervenire».
Il nuovo corso di Facebook e le emissioni di C02 nel mondo
Dopo anni di totale assenza di controlli qualcosa sta cambiando, almeno sul social network più diffuso.
Dal 2020 Facebook ha ideato il «Climate Science Information Center», piattaforma che segnala le fake news climatiche postate dagli utenti e invita a consultare fonti ufficiali e affidabili come l’IPCC. Intanto nel 2020 le emissioni globali di CO2, causa lockdown planetario, sono diminuite del 5,8%, ma le previsioni per il 2021 mostrano già un aumento del 5%.
La Cina, nonostante abbia firmato l’accordo di Parigi, continua ad aumentare le emissioni che sono cresciute dello 0,8% anche nell’anno della pandemia. Pechino resta il principale inquinatore con oltre il 29% della CO2 prodotta nel mondo.
Fanno meglio sia gli Usa (nonostante Trump), sia la Ue.
L’anno scorso hanno entrambi ridotto del 10% le emissioni di CO2 e oggi producono rispettivamente il 16% e l’11% delle emissioni mondiali.
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