l 22 marzo si celebra la Giornata mondiale dell’acqua (World Water Day), ricorrenza istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 prevista all’interno delle direttive dell’Agenda 21, risultato della conferenza di Rio.
I l tema di quest’anno è il legame tra acqua e cambiamenti climatici.
L ‘obiettivo della giornata è sensibilizzare Istituzioni mondiali e opinione pubblica sull’importanza di ridurre lo spreco di acqua e di assumere comportamenti volti a contrastare il cambiamento climatico.
I numeri dello scenario in cui ci muoviamo sono preoccupanti:
Ci mancano ben 5 miliardi di metri cubi di acqua rispetto a 50 anni fa, quando nel 1971 la Conferenza Nazionale delle Acque aveva indicato in 17 miliardi di m3 la necessita’ di invas0 necessaria nel 1980:
Oggi, nel 2021, siamo arrivati solo a 12 miliardi scarsi ( calcoli di: A.M.B.I : Ass.Nazionale delle Assoc. di Territorio delle Acque Irrigue)
I cambiamenti climatici incidono pesantemente sul ciclo delle acque: ormai la normalità e’ data da piogge tropicali violentissime per brevi periodi alternate a lunghi periodi di siccita’.
Lo stato oggi spende circa 3,5 miliardi di eu medi all’anno SOLO per i danni da alluvioni e dissesto idrogeologico( dato ass.Bonifiche).
Fino all’anno scorso solo la Puglia e la Basilicata erano considerate a rischio di siccità’ grave.
Da quest’anno tutti i fiumi del nord e della dorsale appenninica ( Emilia, Toscana e Marche) sono in enorme sofferenza.Il Po secondo dati Coldiretti in questi giorni al Ponte della Becca consta di 2,5 metri in meno rispetto a un anno fa : esattamente come nella media del mese di agosto.
La siccità già oggi costa un miliardo medio di danni|anno all’agricoltura.
Eppure l’Italia ha ancora oggi molta acqua.
La pioggia mediante ci porta 300 miliardi di m3 di acqua ogni anno.
Ma noi siamo in grado di trattenerne SOLO l’11 % per carenze infrastrutturali .
Infatti questi temi e questi numeri e le azioni necessarie conseguenti cozzano pesantemente con la realtà politica e amministrativa di questo paese in tutte le sue declinazioni istituzionali:
Stato, Regioni, Comuni .
Che ostinatamente continuano a copiare modelli fallimentari di gestione dell’acqua del secolo scorso . In primis sulla gestione dell’acqua che con il referendum del 13 giugno del 2011, 23 milioni di italiani democraticamente volevano pubblica :
e che ancora oggi ( tranne a Napoli tra le città sopra i 500.000 abitanti ) e’ totalmente tradita
. E lo si fa con uno “stratagemma di bassa burocrazia “ :
cioè si privatizzano le infrastrutture che servono a portare l’acqua nelle nostre case ( tubi e acquedotti ) e si mantiene “ pubblica “ solo l’acqua che trasportano …
Come se un cittadino potesse andare con il secchio a una fonte per approvvigionarsi …
Una carognata per bypassare il referendum che dovrebbe farci arrabbiare come cittadini e consumatori, ma che invece subiamo tutti, spesso senza neanche averne coscienza
Mentre la realtà dimostra che le gestioni pubbliche del ciclo dell’acqua ( sia potabile che le fogne e la depurazione )sono molto più efficienti e economiche rispetto a quelle private, ovunque nel mondo : non fosse altro che perché i privati- molto semplicemente- devono fare anche utili oltre che dare un servizio ai cittadini:
il servizio Pubblico no.
Ma poi il discorso si allarga :
La gestione dell’acqua in un mondo che corre , a causa del global Warming e dei cambiamenti climatici a lui correlati, e’ un qualcosa da guardare con una visione d’insieme più larga e spostata a trent’anni e non rivolta alla ”punta delle nostre scarpe”, come accade ovunque .
Ha senso oggi avere i comuni che non dividono gli scarichi fognari ( acque nere) da quello di acque piovane ( acque bianche) ?
Perché saprete che se non le separiamo loro( le acque piovane) andranno nei depuratori ( …dove ci sono e sopratutto funzionano …) : ma i depuratori vengono costruiti e dimensionati per accogliere solo le acque proporzionate ai numeri di cittadini allacciati a quei servizi .
Invece , anche a causa del climate change, quando piove molto in poche ore, non essendo divise le acque bianche da quelle nere, le quantità di acqua che arrivano ai depuratori sono anche 50 volte in più di quelle per cui sono stati costruiti : per cui non potendole contenere i gestori sono costretti ad “ aprire “ le vasche e a scaricare in mare ( o nei fiumi ) il tal quale fognario .
Da qui l’inquinamento .
Ha senso ?
No
Eppure oggi la ragione Campania si appresta a preparare un piano di investimenti sul ciclo integrato dell’acqua da 11 miliardi e 800 milioni di eu in questa regione, rifacendo le fogne e l’impiantistica di depurazione NON PREVEDENDO la separazione di acque bianche da quelle nere !
Una follia :
ma sta per avvenire
E significherebbe buttar via soldi pubblici ( tanti) perché i nostri problemi di depurazione non sarebbero risolti
Altri esempi ?
Le falde acquifere in Campania non sono monitorate sulla loro portata :
cioè le istituzioni ( stato\regioni\comuni) non sanno quanta acqua loro “ portano “ nel loro scorrimento
Però nel frattempo si continuano ad autorizzare prelievi industriali e agricoli ( intensivi) dalle falde acquifere senza alcun ostacolo da parte della regione Campania
Col risultato che le falde si esauriscono con prelievi eccessivi ( e sprechi conseguenti ) e già osserviamo fiumi come il povero Sarno il cui volume complessivo di acqua e’ costituito non di acqua sorgiva, ma di acque di “ scarto “( banche e nere )
E’ allucinante in una regione che tutte le proiezioni climatiche descrivono semidesertica dal 2050?
Si :
ma accade .
Ancora esempi?
E’ normale che in questo scenario di desertificazione noi depuriamo acqua e poi la “ buttiamo “ in mare ? Non sarebbe più utile riciclarla a uso agricolo ?
Gli israeliani lo fanno con successo da anni : basterebbe copiarli
Noi ci apprestiamo a spendere quasi 12 miliardi di eu nel ciclo integrato delle acque e non ci poniamo neanche per un secondo questa opportunità che invece dovremmo programmare ?
Questi sono solo 3 esempi per dirvi che siamo sull’acqua all’anno zero
Le istituzioni ragionano guardandosi “ i piedi “ come dicevo, mentre la realtà imponerebbe loro di programmare a venti se non trenta anni .
E così facendo rischiamo di buttar via risorse e contemporaneamente di lasciare problemi insoluti ENORMI ai nostri figli e nipoti
Che poi , pur volendo , non avranno più la possibilità per riorganizzarsi, perché il clima che cambia velocemente, non gliene darà il tempo ( lungo ) necessario
Noi oggi avremmo il tempo per farlo.
Se non lo faremo ce ne porteremo addosso la responsabilità dell’incapacità di non aver saputo programmare la nostra resilienza e quindi la sopravvivenza delle nostre società per come le conosciamo ora.
Roberto Braibanti
Consigliere Ato 1 Napoli