Il 70% della produzione di cereali del mondo non viene utilizzata per dar da mangiare a uomini ma per allevamenti intensivi e biocarburanti.

Ben il 54% delle nostre importazioni di olio di palma è destinato alla produzione di biocarburante.
Pochi lo sanno.
Ma ogni volta che facciamo il pieno di gasolio acquistiamo anche olio di palma.

Dal 3 al 15%.

È considerato green e rinnovabile, ma in realtà’distrugge le foreste del sud est asiatico con monocolture di palme per centinaia di migliaia di ettari che hanno cancellato totalmente la biodiversita di quei luoghi.
E di fatto quindi l’olio di palma provoca il triplo delle emissioni di CO2 rispetto al petrolio

L’IPCC e la Commissione Europea, nel giro di pochi mesi, confermano che la produzione dei biocarburanti di prima generazione, ottenuti da una coltivazione intensiva come la palma da olio, è dannosa per l’ambiente, l’uomo e il clima.

E in Italia, Legambiente punta il dito su ENI, nemica del clima, che da un lato ha aumentato la produzione globale di petrolio, al suo massimo storico, 1,9 milioni di barili/giorno.

ENI da un lato basa tutta la sua comunicazione sulla sostenibilità ambientale ma dall’altro lato investe, poco e male, su fonti rinnovabili ormai obsolete, come nelle due raffinerie di Porto Marghera e Gela.

Impianti che utilizzano, in gran parte, appunto olio di palma, materia prima che tra il 2021 e il 2030 dovrebbe uscire completamente dalla produzione.

Ricevendo, pure, sussidi dallo Stato.

In particolare, secondo un’analisi dell’organizzazione Transport&Environment basata su dati di Oil World, è proprio l’Italia il Paese dell’Ue che utilizza le maggiori quantità di olio di palma per la produzione nazionale di biodiesel, circa il 95 per cento di quanto importato.
Seguono Spagna (90 per cento) e Paesi Bassi (59 per cento).

Questa notizia non sorprende.
Già nel 2011 il rapporto “Metti (l’estinzione) di un tigre nel motore” evidenziava come l’Italia fosse il primo Paese europeo per utilizzo di olio di palma nella produzione di biodiesel.

Con numeri addirittura in crescita.

Eni infatti ha recentemente riconvertito due delle sue raffinerie a combustibili fossili in bioraffinerie.

E come se non bastasse, il “cane a sei zampe” ha prodotto nel 2018,in questi due complessi industriali Porto Marghera e Gela, fino a 1 milione di tonnellate biocarburante.

Ma ormai produrre “bio fuels” deforestando il pianeta non è sostenibile.

Proprio nei mesi scorsi, la stessa Commissione è corsa ai ripari con la modifica dei criteri di sostenibilità dei biocarburanti di prima generazione nella Direttiva Rinnovabili.

Tanto che l’olio di palma, ad alto impatto ambientale e climatico, non potrà essere conteggiato per raggiungere gli obiettivi UE sulle fonti rinnovabili.

Con un congelamento della produzione degli Stati membri, ai livelli del 2019, per il periodo 2021-2023, fino a un volontario abbandono a partire dal 2021 e la completa messa fuori produzione entro il 2030.

Nel frattempo oggi in Francia la lobby di Total su #oliodipalma è stata sconfitta e non godrà più di alcun vantaggio fiscale dal gennaio 2020.
E in Italia quella di #Eni?

Arriverà in Parlamento italiano una proposta analoga?


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